LA POLITICA DEI TECNICI

“Il totalitarismo non rappresenta che l’immagine contraffatta dell’ideale organico… nel totalitarismo è insita la tendenza livellatrice, l’insofferenza per ogni forma parziale di autonomia e per ogni grado di libertà… in particolare, con esso si realizza una specie di sclerosi, di ipertrofia teratologica di tutto quanto è semplice struttura burocratico-amministrativa; tali strutture si fanno onnipervadenti soppiantando o comprimendo ogni attività particolare, non conoscendo limiti per una invadenza insolente del pubblico nel privato…… per quel che riguarda il lato più materiale, cioè l’aspetto economico – aspetto predominante in un’“éra economica” – la superorganizzazione, la centralizzazione e la razionalizzazione ad oltranza hanno una parte essenziale in questo tipo rigido e meccanicistico di unità. La quale, se nell’età contemporanea ha manifestazioni precipue, tuttavia anche in altre epoche si era qua e là preannunciata: però sempre nelle fasi terminali, crepuscolari di un dato ciclo di civiltà.”
[Julius Evola – Stato organico e totalitarismo – 1953]

Stante che il “politico” è una figura esotica e misteriosa ormai tramontata da almeno un trentennio, l’italiano è costretto a vedersi imporre l’altrettanto impalpabile sagoma del “tecnico”.
Egli assurge a cariche apicali con sempre più frequente regolarità, con la costanza di cicli sempre più ravvicinati e l’accelerazione degli eventi tipica degli ultimi e convulsi spasmi da età del ferro.

Le sue caratteristiche principali devono essere, come conditio sine qua non per ricoprire il ruolo, le seguenti…

1) Aver studiato sin dalla tenera età nelle scuole dei gesuiti o simili, approdando poi con profitto in Università nostrane quali la Bocconi o la Sapienza nelle quali l’appiattimento verso le teorie le più in voga e fallimentari da decenni è un dogma da seguire senza tentennamenti, pena non accedere a carriere ben remunerate. Non aver disdegnato a tal fine stage esteri in facoltà anglosassoni d’élite spesso a carico dei contribuenti; il suo primo impiego sarà a Londra o New York presso le più importanti banche d’affari nelle quali affina le idiozie finanziare apprese in precedenza sulla carta: i bonus a più zeri che sarà stato in grado di percepire facendo girare come trottole dei denari fasulli e possibilmente lasciando sul lastrico migliaia di famiglie gli faranno acquisire definitivamente l’idea che il suo ego smisurato meriti queste ricompense.

2) Per questi meriti acquisiti comincia quindi a frequentare ministeri economici e/o banche centrali, luoghi nei quali mette in pratica su scala più ampia e deleteria quanto appreso in precedenza. Gli stipendi non saranno gli stessi, ma il fremito di potere vale la candela ed a posteriori un volume di memorie che venderà cento copie, ma che sarà profumatamente ricompensato dagli “editori”, non si potrà negare a nessuno. Una fondazione creata ad hoc lo aiuterà ad evitare quei fastidi giudiziari che distrussero la prima Repubblica, i rischi che correrà saranno comunque pochi, poiché come dimostrano ulteriormente recenti fatti l’indipendenza della magistratura è una formula retorica.

3) Non sarà mai eletto dal popolo, ma piuttosto nominato a cariche decisive per cooptazione; egli deve quindi necessariamente apparire come un neutro senza una spiccata personalità (il tecnico del resto non è una “persona”, è un feticcio), disceso tra i comuni mortali per impedire a questi ultimi di farsi male da soli compiendo irreparabili sciocchezze quali tentare di farsi una vita, una famiglia, un lavoro onesto e dignitoso senza dipendere da chicchessia.
Sarà generalmente chiamato a risolvere problemi di carattere economico che lui stesso ha contribuito in modo decisivo a creare; essendo addentro solo nei meandri della finanza mancherà però in lui la profonda cognizione di quelle basilari regole economiche che sono necessarie quantomeno alla sopravvivenza di uno Stato o di un’azienda, nella quale egli non ha mai messo piede poiché schifa il mescolarsi con il sudore vero (le banche d’affari o commerciali non sono attività imprenditoriali in senso stretto poiché la loro contabilità è esclusa dalle regole cui soggiacciono le altre attività).

4) Tanto se le di lui conclamate imprese per il bene della collettività avranno causato dei danni, inserirle nel calderone di un debito comune che tanto è già fuori controllo non desterà particolare attenzione. Al limite, l’intervento di media liberi ed obiettivi basterà a far cadere il tutto nell’oblio, con annessa santificazione in vita.

5) Sarà particolarmente pervicace nel dare ad intendere che solo lui e pochi altri possano prendere decisioni in loco di milioni di persone. Queste, costantemente minacciate dalle idee loro inculcate che tali materie oscure (che tali non sono) non siano alla loro portata intellettiva, demandano ben volentieri al salvatore della Patria.
Salvo poi pentirsene sempre a posteriori.
Se il “popolino” viene massacrato a cadenze regolari è per un bene superiore che esso non è in grado di discernere!

6) E’ talmente pieno di sé per l’autoconsapevolezza di saper maneggiare l’unica questione del suo altrimenti misero bagaglio informativo da tenere atteggiamenti di superiorità tali da sfociare nella sociopatia. Preso com’è da se stesso indulge per superficialità ed arroganza in errori di pronunzia, di matematica di base, di statistica. I discorsi programmatici e politici li affronta come fosse ad una conferenza stampa, sapendo d’avere di fronte il conformismo più sfrenato e ben poche e marginali inchieste giornalistiche.

7) In fin dei conti il tecnico è quindi un cretino sapiente che se esce dai suoi binari si rivela per quello che è. Questa ingannevole patina di “esperto” lo convince d’essere indispensabile; egli dorme il sonno dei giusti dopo aver desertificato intere regioni sia intellettuali che geografiche.
Rieccoci qua, insomma. Una nazione sempre più impaurita ed infiacchita dalle difficoltà, tanto da affidarsi senza remore a chi ha prodotto guai che ora chissà chi l’ha chiamato a risolvere. A modo loro.

Proprio quando c’è bisogno della politica nella sua massima espressione i partiti ed il Parlamento composti da pavidi ci propinano l’ennesima medicina amara, che già dai primi provvedimenti e dai futuri avvertiti non promettono nulla di buono.

Ci si può solo augurare che quel briciolo di buon senso e di coscienza che ancora c’è in questi cervelli all’ammasso possa salvare ciò che è rimasto dello stato sociale, proteggere quei diritti collettivi sempre più sfregiati che però sostanziano e definiscono una collettività, lasciare nuovamente libero l’ingegno italico e ripristinare quella vera Giustizia indispensabile al nostro riscatto, senza la quale nessun burocrate potrà mai condurci fuori da questo miserabile contesto.

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