COLAO: L’UOMO DELLE MULTINAZIONALI

Sarebbe ingenuo per i rivoluzionari attaccare il sistema senza usare qualche tecnologia moderna. Se non altro perché occorrono i mezzi di comunicazione per diffondere il messaggio. Ma dovrebbero usare la tecnologia moderna per un unico scopo: attaccare il sistema tecnologico.

[Theodore Kaczynski – Il manifesto]

Collegato in “smart working” da Londra il neo Ministro dell’innovazione tecnologia e transizione digitale Vittorio Colao si attaglia con precisione alla figura del tecnico così come abbiamo descritta nel nostro precedente articolo.

Una sintesi: dopo la laurea bocconiana e il master alla Harvard University di Boston, le prime esperienze “lavorative” in Morgan Stanley (una delle principali banche d’affari, troppe volte sporchi,  americana) ed in McKinsey&Company (impresa globale di consulenze aziendali che recentissimamente avrebbe avuto un appalto dallo Stato italiano per la definizione precisa dei termini con i quali utilizzeremo i fondi UE: decine di migliaia di dirigenti pubblici pare quindi non siano in grado di farlo…), approda nel 1996 come direttore generale nella Omnitel del De Benedetti, azienda di telecomunicazioni “italiana”, che verrà poi ceduta agli inglesi di Vodafone, società per la quale poco dopo comincerà a collaborare fino a raggiungere, dopo una breve parentesi In RCS Media Group, il ruolo di amministratore delegato nel 2008 che manterrà fino al 2018.

Nel frattempo, a partire dal 2015, ricopre carica importante nel consiglio di Unilever, conglomerata globale anglo olandese che si occupa per lo più di alimentare e chimica; dal 2019 è nel consiglio direttivo di Verizon, colosso statunitense della telefonia wireless e sviluppatore del 5G  a livello globale (Verizon è l’unione di Veritas con Horizon).

Di più: risulta a  tutt’oggi il suo contributo come special advisor nel fondo globale di private equity General Atlantic, specializzato nel lancio di aziende nel campo della tecnologia, della farmaceutica e bio ingegneria, agricoltura modificata, servizi finanziari “innovativi”, et cetera.

Stante la natura di queste imprese  non ci vuol molto a sottolineare l’enorme conflitto di interessi del Colao, conflitto cui pochissimi media han fatto cenno.

Come ben sappiamo una parte molto significativa del così detto recovery fund europeo (che viene tradotto nell’italica forma del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”), inopinatamente ribattezzato con la più accattivante dicitura di #nextgenerationitalia, si concentrerà su due questioni tra loro legate quali la “transizione” tecnologica e quella energetico-ambientale, nonché sulla “parità di genere ed inclusione”.

Ossia: una parte fondamentale degli investimenti pubblici, se vogliamo chiamarli così, andranno direttamente o meno in aziende e settori con i quali il Colao ha dei rapporti continuativi.

Il sostantivo resilienza, che è molto di moda nei circoli progressisti globali, riassume efficacemente l’idea che la plebe si debba piegare alla bisogna oligarchica, ma nonostante ciò  debba essere determinata a mantenere una ferma volontà d’animo nel non spezzarsi, altrimenti non si avrebbe più un numero sufficientemente critico di persone cui succhiare il midollo.

Nella tecnica dei materiali può definirsi come la resistenza alla rottura per una sollecitazione dinamica esterna, determinata con apposita prova d’urto. In politica tale tecnica si persegue da tempo; per prova d’urto leggasi l’attuale pandemia, l’occasione d’oro da sfruttare per la transumanza verso il neo paradiso tecnologico-robotico ed il sol dell’avvenire.

Per comprendere meglio cosa ci aspetterà non si può non analizzare il documento che il gruppo presieduto da Colao presentò già nel Giugno del 2020, su sollecitazione ben remunerata dell’allora Governo Conte.

Si noti come questo gruppo di autonominati “esperti in materie economiche e sociali” produsse tale sforzo dopo pochi mesi, lasciando ad intendere a chi volesse pensar male che già agli albori del Covid si aveva un’idea piuttosto chiara su quale sarebbe stata l’agenda, sia dal punto di vista economico che sanitario. E su chi avrebbe a breve occupato ruoli ministeriali.

Ottimisticamente il titolo del testo era: “Iniziative per il rilancio. Italia 2020-2022”. Come c’era da aspettarsi il 2020 ha visto un calo del prodotto interno lordo del 10% circa, quindi il rilancio era già stato spostato in avanti, come certi piani quinquennali falliti di bolscevica memoria. Vedremo se anche noi avremo un’italica regione siberiana dove spedire chi non si confermerà a questi piani, boicottandoli per quanto possibile.

Nel corposo lavoro vi sono dei punti fermi come ricetta per superare l’attuale stato di crisi che, pur determinata in parte dalle misure prese per ostacolare la diffusione del virus, era già in atto.

Preliminarmente si individuano i problemi che attanagliano l’economia e la società italiana quali: basso tasso di crescita, elevato debito pubblico dovuto all’economia sommersa ed all’evasione fiscale (calcolata nell’ordine dei 110 miliardi di euro annui dallo studio dei solerti soloni; non negando in questa sede che da sempre esiste nel nostro Paese l’evasione è doveroso sottolineare come questi puerili calcoli dipendano piuttosto da due fattori: l’elusione fiscale delle grandi imprese che si rifugiano in paradisi fiscali anche all’interno della stessa Comunità europea, leggasi Irlanda, Olanda, Lussemburgo per citarne solo alcuni; la criminalità organizzata che vale da sola metà dell’importo su citato, ma alla quale – a meno di non volere assegnare ad essa una partita i.v.a. – bisognerebbe piuttosto fare finalmente un’opera di deciso contrasto), si sottolinea inoltre l’elevato livello di disuguaglianza di genere, sociale e territoriale.

I tre pilastri sui quali bisogna agire secondo lo studio sono i seguenti:

a) digitalizzazione ed innovazione,

b) “rivoluzione verde”,

3) parità di genere ed inclusione.

Nel capitolo “i progetti e le iniziative proposte” si individuano sei aree di lavoro:

  1. Imprese e lavoro;
  2. Infrastrutture ed ambiente;
  3. Turismo, arte e cultura;
  4. Pubblica amministrazione;
  5. Istruzione, ricerca e competenze;
  6. Individui e famiglie.

Se si analizzano i principii cardine con i quali Colao e soci intenderebbero affrontare questi temi, si osservano alcuni schemi ricorrenti che un pregio l’avrebbero: stimolare un dibattito vero sulla natura dello Stato moderno e sui campi e modalità del suo intervento. Poiché i diritti politici sono “sospesi”, tale dibattito non ci sarà.

Si deve segnalare l’assoluta mancanza di suggerimenti generali per ciò che concerne le regole strutturali di finanza e fiscalità (un tema sul quale non si osa mai proporre qualcosa di coerente, radicale ed innovativo, ché le banche ed i boiardi poi s’adombrano), sulla riforma della magistratura (dove s’è ampiamente visto che chi tocca muore), sulla riforma degli organi politico-amministrativi (indispensabile, ma che viene sistematicamente rinviata e tutt’al più affrontata fino ad ora in modo completamente disorganico).

Gli schemi quindi sono i seguenti:

  1. Il concetto che lo Stato debba essere gestito come una sintesi tra un’impresa ed una ONG: utilizzando ripetitivamente termini quali produttività, concorrenza, competitività ed inclusione sono evidenti le modalità con le quali le così dette innovazioni dovrebbero essere implementate, e la forma mentis completamente tecnica dei redattori. Il turismo, l’arte e la cultura vengono definiti “brand” e “prodotti”, l’istruzione viene caratterizzata tramite il raggiungimento di competenze nelle sole materie STEM, acronimo americanese di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Se è pur vera l’importanza di tali branche del sapere, in un paese come il nostro la cultura basilare per qualsiasi adolescente dovrebbe ben basarsi sulla storia delle nostre radici e dell’arte, il saper leggere e scrivere, lo studio del diritto. Elementi, questi ultimi, difficilmente calcolabili in termini in termini di produttività immediata. Nel dare importanza alla scuola nel suo complesso, ci si augura al contempo che gli strumenti utilizzati ormai da un anno come la famigerata didattica a distanza proseguano anche dopo la pandemia, come in questi giorni ha ribadito il neo Ministro Bianchi. Che ciò renderà quasi inutile la presenza di insegnanti in carne ed ossa, facilmente sostituibili in futuro da programmi computerizzati che già esistono sul mercato, non è all’ordine del giorno nelle discussioni del sindacato più grande del nostro paese, che anzi approva ed appoggia.

Inoltre, quando si parla di investimenti pubblici, gli studi di fattibilità e l’analisi costi benefici spesso è incalcolabile.

Ciò non toglie che, essendo l’eredità della così detta democrazia un debito pubblico ingestibile, si sarà costretti ad affrontare le inefficienze strutturali della pubblica amministrazione, adottando rigidi parametri contabili.

  1. In modo più o meno esplicito si auspica un percorso verso una maggiore privatizzazione, anche di quei settori che dovrebbero essere tipicamente pubblici. Le infrastrutture obsolete dovrebbero essere realizzate “anche attraverso modalità di investimento pubblico-privato”, il “ripensamento del metodo tariffario”, il “rafforzamento di meccanismi di riscossione”. In gran parte ciò è già stato realizzato (vedasi ad esempio la fine delle aziende municipalizzate, che da aziende pubbliche sorte un centinaio di anni fa con l’unico scopo di rendere accessibili a tutti beni indispensabili quali l’acqua e l’energia, sono state trasformate in società per azioni quotate in borsa, il cui intento pare essere ad oggi lo sfruttamento pressoché monopolistico degli utenti per trarne utili da distribuire come prebende politiche). L’aumento dei costi per i cittadini appare quindi ancora più inevitabile in settori quali l’accesso all’acqua, all’energia elettrica, alla filiera della raccolta, smaltimento e gestione “verde” dei rifiuti. Del privato come gestore della rete autostradale ex pubblica, abbiamo avuto ampio riscontro nelle cronache nere….
  2. L’individuazione di infrastrutture “strategiche” da espandere, quali le reti di comunicazione moderne, trasporto e logistica. Lo sviluppo delle linee 5G (magari da appaltare alla Verizon) dovrebbe farsi anche attraverso “l’adeguamento dei livelli di emissione elettromagnetica dell’Italia a quelli europei, oggi circa tre volte più alti e radicalmente inferiori ai livelli di soglia di rischio”. L’implementazione di tali infrastrutture appare quindi in contrasto logico con la “rivoluzione verde”. Essa punterebbe inoltre sempre più sull’elettrico in loco del fossile (vedasi forti incentivi statali per la diffusione del trasporto ibrido o totalmente elettrico, senza la minima considerazione del fatto che a tutt’oggi l’energia elettrica viene prodotta per il 90% circa dal bruciare combustibili fossili, spostando quindi di fatto il problema da valle a monte).

Il così detto “riscaldamento globale” impegnerà il nostro Governo con un Ministero ad hoc che sicuramente sarà soggetto attivo di sprechi enormi; ma la retorica della “carbon neutrality”, chimera da realizzare in Europa entro il 2050 porterà sicuramente ad enormi aumenti dei costi per i cittadini, a fronte di servizi certamente più scadenti (nel mondo occidentale i black-out si susseguono sempre di più già ora, poiché la semplice manutenzione delle reti evidentemente non è un tema sufficientemente “verde”).

Tutto questo mentre la fornitura del gas naturale servito a buon mercato dalla Russia ed a impatto ambientale scarso è messa in discussione per questioni geopolitiche di vitale importanza… per gli U.S.A. .

Bisognerebbe finalmente strutturare un vero piano energetico per l’Italia, invece che rincorrere utopie un tanto al chilo.

Come abbiamo visto si invocano invece i capitali privati, che con la loro tipica filantropia risolveranno i nostri problemi pubblici.

Si noti come questo delicatissimo tema, affrontato in occidente con una superficialità disarmante, non è quasi mai legato al vero e proprio inquinamento, altrimenti il tema delle acque (unica vera ed abbondante risorsa naturale del nostro paese) sarebbe all’ordine del giorno già da tempo a fronte di strutture fatiscenti di cui mai si fa cenno.

Vedasi a questo proposito due questioni a noi vicinissime, che sarà interessante verificare con quale sensibilità ecologica verranno affrontate, al di là della retorica di circostanza:

https://www.giornaledibrescia.it/brescia-e-hinterland/l-acquedotto-bresciano-%C3%A8-un-colabrodo-persi-4-litri-su-10-1.3513921

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/12/brescia-il-progetto-del-depuratore-del-garda-ha-dellincredibile/5661951/

 

  1. L’ulteriore digitalizzazione del denaro.

Anche al fine, a parere del comitato, di facilitare l’emersione dell’economia sommersa, si accelererà l’attuazione di alcuni provvedimenti volti a: scoraggiare ulteriormente l’uso del contante (mentre il comune cittadino ha sempre più limitazioni in tal senso, non risulta che la criminalità organizzata abbia avuto particolari problemi a riciclare i suoi “proventi” in contanti: le norme in oggetto sono semplicemente tese ad evitare un possibile tracollo delle già scarne riserve bancarie) con provvedimenti quali: messa fuori corso di talune tipologie di banconote, incentivazione all’uso di pagamenti elettronici, inasprimento di sanzioni per gli esercizi commerciali che non utilizzano pos, disincentivi all’utilizzo dei bancomat con “anticipi fiscali a valere sui prelievi dei contanti”, rientro dei capitali all’estero facilitati da ennesimi e malcelati condoni: qua la transizione si traduce in una transazione con i gabellieri. Forme di patrimoniale non possono essere escluse, soprattutto se saranno ben spiegate sotto ricatto morale ed ideologico: chi saranno gli abietti che non vorranno contribuire ad evitare un crollo ecologico-economico-sanitario?

  1. Sviluppo di una piattaforma digitale “pubblica” sanitaria: il piano di “digital health” prevede la creazione di un “eco-sistema” digitale (non poteva che essere eco pure questo…) sulla salute a livello nazionale, rendendo disponibili i dati sanitari dei cittadini a tutti “gli attori della filiera” ( per esempio le assicurazioni avranno libero accesso alle cartelle cliniche? O l’hanno già ora ?), favorendo la telemedicina, la cura da casa anche con l’ausilio dei privati (cos’abbia voluto dire per davvero il privato nella sanità l’abbiamo scoperto in questi anni nei quali chi se lo può permettere fa esami, interventi ed acquista i medicinali, agli altri rimangono per lo più le preghiere).

E’ pressoché certa, nonostante i notevoli dubbi giuridici in merito, l’introduzione di un passaporto vaccinale di tipo digitale, che consentirà o meno l’accesso ai luoghi pubblici, da implementarsi attraverso apposite “app” sicuramente appaltate a privati: un affare enorme per il quale i concetti di libertà di spostamento e privacy dei cittadini saranno definitivamente sacrificati ed annullati.

Altre generiche amenità affrontano temi sociali quali le quote di genere ed i suoi stereotipi, la riduzione del divario salariale di genere, la valutazione dell’impatto sempre di genere ( VIG, qualunque cosa esso voglia dire ), sui quali è difficile esprimersi razionalmente senza affrontare l’accusa di misoginia. Ma che significato avranno in concreto miliardi di euro che si intendono impiegare in ciò?

Si annuncia poi il diritto al cibo sano e sostenibile ( la Unilever ne sa molto al riguardo…).  Nel mentre la comunità europea ci rende edotti che gli allevamenti intensivi necessari al sostentamento di 7 miliardi di persone dovranno essere man mano eleminati poiché il meteorismo degli animali produce CO2, si avviano sempre più procedure verso l’autorizzazione degli OGM ed addirittura per il consumo alimentare degli insetti… che cosa questo abbia a che fare con la “salute” ed una dieta equilibrata è tutto da verificare. E’ facile prevedere che la carne diverrà un bene di lusso, cui l’oligarchia non rinuncerà di certo, mentre il nostro cibo sarà sempre più artificiale.

E’ fuor di dubbio che questo paese abbia bisogno di riforme.

Pare però evidente che il percorso tracciato da questi dirigenti prestati alla politica non incida su fattori realmente strutturali, ma si concentri su una  retorica stantia, sul politicamente corretto a dispetto del buon senso e ci presenti un futuro il più distopico possibile fatto di un controllo sociale sempre più invasivo. Esso però viene presentato come ineluttabile e che pare ben accetto da una maggioranza silenziosa e rassegnata.

L’avanzare della tecnologia spesso fine a se stessa è di una protervia tale da rendere le tesi di Theodore Kaczynski che risalgono al secolo scorso di attualità. Il suo manifesto anti-tecnologico e la sua azione potranno anche sembrare radicali, ma furono un tentativo di spiegare come umanizzare nuovamente una società spersonalizzata.

Nel mentre che lo Stato abdica ai suoi obblighi più stringenti ed impellenti, l’esame dei requisiti cui dovremo sottoporci per non essere completamente isolati, sulla stregua del punteggio sociale in vigore in Cina, sarà ancora più difficile da superare.

Quali siano i mezzi intellettuali cui potrà disporre la minoranza silenziata per mettersi di traverso a questo processo, noi li si conosce benissimo.

Ma conosciamo il coraggio?

 

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