Il 18 novembre i bresciani saranno chiamati a esprimersi, attraverso un referendum consultivo, sul tema della partecipazione privata alla distribuzione dell’acqua. In gioco c’è il 49% dell’azienda Acque Bresciane che attualmente ha in carico il servizio idrico di 88 paesi della provincia, numero destinato a crescere in futuro. Le quote di maggioranza resterebbero comunque al settore pubblico, dando vita così ad un sistema misto, che in Italia non ha dimostrato di essere più efficiente di quello totalmente pubblico.
I sostenitori della privatizzazione sostengono che l’intervento dei privati porti una maggiore efficienza nei servizi, in un sistema, quello idrico italiano, generalmente deficitario in questo senso e che necessita di ingenti opere di miglioramento. I sostenitori del pubblico temono un aumento dei prezzi per i consumatori finali (le imposte sull’acqua in Italia sono tra le più basse d’Europa), senza necessariamente avere un servizio migliore.
Ora il punto fondamentale è un altro: la privatizzazione dell’acqua, come di un qualunque altro servizio fondamentale erogato dallo Stato, porta le leggi del mercato e dell’economia a fare breccia in un territorio che dovrebbe essere esclusivamente politico. È necessario invertire questa tendenza e ristabilire il primato della politica sull’economia, dello Stato sul mercato. Smontare l’apparato statale pezzo per pezzo non è la soluzione alla poca rapidità ed efficacia del settore pubblico; bisogna invece rendere il pubblico più efficiente e questo è un compito che spetta alla politica, non al mercato, le cui logiche non sempre rispecchiano quelle degli stati e non sempre sono a favore dei cittadini.
L’acqua è un bene di prima necessità e una risorsa strategica e lo Stato deve averne il totale controllo.
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